Personaggi dello sport: Pavel Nedved
Nedved incontrò i colori bianconeri quasi per caso, ma sicuramente non per sbaglio. Quarantasei anni, vicepresidente della Juventus, nume tutelare della juventinità e del calcio europeo. Qualche tempo fa si è parlato parecchio di lui perché durante la Partita del Cuore si è vendicato di un tunnel subito entrando duro sul rapper Moreno, e la scena ai più non è parsa tanto edificante..Comunque qualche giorno dopo Moreno ha ricevuto una telefonata in cui Nedved si scusava profusamente. Solo che non era il Nedved vero, era un imitatore della radio.
Competitor di razza ed esemplare professionista, quando si è ritirato il suo palmarès contava 5 scudetti, un campionato cecoslovacco, l’ultima Coppa delle Coppe, numerose coppe Nazionali e un argento agli Europei (1996); e, naturalmente, l’insperato Pallone d’Oro del 2003.Eccezionale centrocampista offensivo dotato di ottima tecnica, grande assist-man e corridore, Nedved si è costruito la fama di stakanovista e perfetto compagno di squadra e professionista, tanto amato dai compagni quanto odiato dagli avversari – “Dicevano e dicono che lei fosse un provocatore, un furbo, uno fastidioso” – “Sì, è vero, davo molto fastidio. Perché ero forte, avevano paura di me e parlavano”.
Pavel Nedved nasce a Cheb il 30 agosto del 1972, ma con la sua famiglia cresce nel vicino villaggio di Skalna, duemila abitanti sul confine tedesco, l’abitato delimitato dalle torrette di guardia della cortina di ferro. La madre Anna è commessa in un emporio, il padre Vàclav minatore durante la settimana e, di sera e nel weekend, centrocampista offensivo del Cheb in seconda divisione.E' il quinto figlio di Anna e Vàclav, che immaginano per lui un futuro da impiegato o da contabile ma non scoraggiano la sua naturale inclinazione per gli sport e per il calcio in particolare. Spesso accompagna il padre agli allenamenti, e qualche volta partecipa. Per colmare il gap fisico che non gli consente, naturalmente, di affrontare i contrasti con gli adulti, cerca di tirare in porta appena vede lo specchio, anche da posizione angolata o da molto lontano. Il suo leggendario tiro da lontano prende forma così.A 14 anni gli viene offerta l’opportunità di andare a giocare nelle giovanili del Viktoria. Nedved lascia così la provincia e la sua famiglia per trasferirsi a Plzen, una vera e propria città da 150.000 abitanti che a lui, che ancora oggi si definisce “un campagnolo diffidente”, sembra una vera metropoli. Oggi racconta di aver vissuto bene il passaggio grazie al supporto della sua famiglia e al suo carattere precocemente indipendente, anche se nella sua autobiografia ci ragiona così: “Quello che la gente non capisce degli sportivi professionisti e di alcuni loro atteggiamenti è che noi spessissimo lasciamo le nostre famiglie, le case e le città in cui siamo nati all’età in cui tutti gli altri sono ancora coccolati e protetti dai genitori come fossero dei bambini. (…) Nella migliore delle ipotesi (…) riesci a crescere bene, a diventare prima un ragazzo e poi un uomo. Nella peggiore delle ipotesi ti perdi o rimani un bambino per sempre”.Se per Nedved si avvera la “migliore delle ipotesi” è anche merito di Josef “Pepi” Zaloudek, un burbero ma appassionato allenatore delle giovanili del Viktoria che diventa una specie di secondo padre per lui e per molti dei suoi compagni, li ospita a casa sua e si assicura che non soffrano troppo la solitudine nel tempo libero. Nel weekend, quando gli altri tornano a casa, Nedved si ferma a Plzen da Zaloudek per continuare ad allenarsi. Si conquista cosi il nemmeno troppo allusivo soprannome “il Folle”
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La prima squadra ad offrirgli la possibilità di approcciarsi all’élite del calcio europeo è il PSV Eindhoven, dove ha giocato anche il suo idolo Chovanec. Trovato un accordo di massima con lo Sparta Praga per un miliardo e mezzo e Nedved si prepara a trasferirsi in Olanda, ma prima c’è l’appuntamento destinato a cambiargli la vita: l’Europeo d’Inghilterra del 1996.Quando il 14 giugno, ad Anfield Road, la linea difensiva dell’Italia di Sacchi si piega come una canna da zucchero al vento e Nedved infila Peruzzi, agli italiani che imprecano guardandolo esultare in TV sembra uno qualunque, il tipico carneade esotico che fa lo scherzetto all’Italia e poi torna nell’anonimato. Ha il numero 4 da mediano, il taglio di capelli militare, le spalle squadrate da socialismo reale, un cognome pieno di consonanti.In Italia però c’è anche qualcuno che lo conosce molto bene: il suo connazionale Zdenek Zeman, che vince la riluttanza di Cragnotti – per nulla intrigato – e lo convince ad offrire 8 miliardi allo Sparta Praga..Pavel Nedved arriva da un paese senza alcun fascino calcistico, è sgraziato e irruento, e in quel contesto sembra un campagnolo invitato per scherzo a una festa di Vogue. Però non è il tipo da farsi timori reverenziali, e invece che starsene in un angolo a sudare in silenzio nella sua camicia di acrilico inizia a tirare olive nella fontana di Martini ovvero, fuor di metafora, a segnare gol assurdi da distanze inconcepibili.Il tiro-di-Nedved è un’esecuzione, è un soffio di cerbottana, è una sistole che spezza il respiro della partita e il battito degli altri ventuno in campo, delle panchine, degli spettatori. È qualcosa di meraviglioso e terribile, come tutti i fenomeni fisici su cui nessuno – nemmeno Nedved, dall’istante in cui la palla si stacca da piede – può realmente esercitare un controllo. Per un ragazzino della mia età è qualcosa di esaltante, nello stesso modo assertivo e profondamente maschile della lotta o dei giochi di guerra.Quando arriva Nedved, a Torino i tifosi juventini stanno rinpiangendo Zidane ceduto al Real Madrid e continueranno a rimpiangerlo per mesi, anche perché Nedved all’inizio sembra un parente lontano di quello della Lazio.Ma proprio come era successo alla Lazio, Nedved si sblocca all’improvviso e non si ferma più. Il primo gol in bianconero lo segna di testa al Perugia a dicembre, ma il primo gol “da Nedved” arriva il giorno dell’Epifania del 2002, contro l’Udinese, con una sassata da posizione angolata che sembra buttar fuori tutta la rabbia accumulata in quei mesi difficili.In pochi mesi il giocatore che non voleva andare alla Juve ne diventa il leader, il simbolo. Nedved è il campione che non molla mai, che cerca la vittoria dal primo all’ultimo minuto a prescindere dalle circostanze, con tutti i mezzi. Sembra nato per incarnare i pregi e i difetti della juventinità e ha ragione Mino Raiola quando dice che “ha fatto come quelli che entrano in una setta e diventano subito il capo”. L’investitura in questo senso arriva il 21 aprile a Piacenza, quando la Juve a due minuti dalla fine della partita è impantanata in un pareggio che renderebbe incolmabile o quasi il vantaggio in classifica dell’Inter.La Juve si gioca il campionato con l’Inter fino all’ultima giornata, e se avete fatto caso alle date vi sarete accorti che stiamo parlando dell’anno del “Cinque Maggio”, e quindi per Nedved del secondo scudetto in carriera vinto quando tutto sembrava perduto, per un imprevedibile regalo della sorte.
Pavel Nedved ha dichiarato in una intervista“Se mi guardo alle spalle, momenti tristi non ne vedo. Forse la cosa peggiore che mi è successa è di non aver giocato la finale di Champions; però la Juventus era in campo. Anche quando penso alla retrocessione non riesco ad essere triste, perché la Juventus c’era e c’è sempre. Quel che resta, alla fine, è la felicità di giocare per la Juventus, Perché noi giocatori passiamo e la Juventus rimane. Per sempre”.
fonti varie
Marcello Spadola
© Copyright personaggincontroluce.blogspot.com. Riproduzione riservata
Pavel Nedved Vice Presidente della Juventus |
Pavel Nedved Pallone d'oro. |
Pavel Nedved nasce a Cheb il 30 agosto del 1972, ma con la sua famiglia cresce nel vicino villaggio di Skalna, duemila abitanti sul confine tedesco, l’abitato delimitato dalle torrette di guardia della cortina di ferro. La madre Anna è commessa in un emporio, il padre Vàclav minatore durante la settimana e, di sera e nel weekend, centrocampista offensivo del Cheb in seconda divisione.E' il quinto figlio di Anna e Vàclav, che immaginano per lui un futuro da impiegato o da contabile ma non scoraggiano la sua naturale inclinazione per gli sport e per il calcio in particolare. Spesso accompagna il padre agli allenamenti, e qualche volta partecipa. Per colmare il gap fisico che non gli consente, naturalmente, di affrontare i contrasti con gli adulti, cerca di tirare in porta appena vede lo specchio, anche da posizione angolata o da molto lontano. Il suo leggendario tiro da lontano prende forma così.A 14 anni gli viene offerta l’opportunità di andare a giocare nelle giovanili del Viktoria. Nedved lascia così la provincia e la sua famiglia per trasferirsi a Plzen, una vera e propria città da 150.000 abitanti che a lui, che ancora oggi si definisce “un campagnolo diffidente”, sembra una vera metropoli. Oggi racconta di aver vissuto bene il passaggio grazie al supporto della sua famiglia e al suo carattere precocemente indipendente, anche se nella sua autobiografia ci ragiona così: “Quello che la gente non capisce degli sportivi professionisti e di alcuni loro atteggiamenti è che noi spessissimo lasciamo le nostre famiglie, le case e le città in cui siamo nati all’età in cui tutti gli altri sono ancora coccolati e protetti dai genitori come fossero dei bambini. (…) Nella migliore delle ipotesi (…) riesci a crescere bene, a diventare prima un ragazzo e poi un uomo. Nella peggiore delle ipotesi ti perdi o rimani un bambino per sempre”.Se per Nedved si avvera la “migliore delle ipotesi” è anche merito di Josef “Pepi” Zaloudek, un burbero ma appassionato allenatore delle giovanili del Viktoria che diventa una specie di secondo padre per lui e per molti dei suoi compagni, li ospita a casa sua e si assicura che non soffrano troppo la solitudine nel tempo libero. Nel weekend, quando gli altri tornano a casa, Nedved si ferma a Plzen da Zaloudek per continuare ad allenarsi. Si conquista cosi il nemmeno troppo allusivo soprannome “il Folle”
Nedved in un suo tipico atteggiamento di esultanza |
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La prima squadra ad offrirgli la possibilità di approcciarsi all’élite del calcio europeo è il PSV Eindhoven, dove ha giocato anche il suo idolo Chovanec. Trovato un accordo di massima con lo Sparta Praga per un miliardo e mezzo e Nedved si prepara a trasferirsi in Olanda, ma prima c’è l’appuntamento destinato a cambiargli la vita: l’Europeo d’Inghilterra del 1996.Quando il 14 giugno, ad Anfield Road, la linea difensiva dell’Italia di Sacchi si piega come una canna da zucchero al vento e Nedved infila Peruzzi, agli italiani che imprecano guardandolo esultare in TV sembra uno qualunque, il tipico carneade esotico che fa lo scherzetto all’Italia e poi torna nell’anonimato. Ha il numero 4 da mediano, il taglio di capelli militare, le spalle squadrate da socialismo reale, un cognome pieno di consonanti.In Italia però c’è anche qualcuno che lo conosce molto bene: il suo connazionale Zdenek Zeman, che vince la riluttanza di Cragnotti – per nulla intrigato – e lo convince ad offrire 8 miliardi allo Sparta Praga..Pavel Nedved arriva da un paese senza alcun fascino calcistico, è sgraziato e irruento, e in quel contesto sembra un campagnolo invitato per scherzo a una festa di Vogue. Però non è il tipo da farsi timori reverenziali, e invece che starsene in un angolo a sudare in silenzio nella sua camicia di acrilico inizia a tirare olive nella fontana di Martini ovvero, fuor di metafora, a segnare gol assurdi da distanze inconcepibili.Il tiro-di-Nedved è un’esecuzione, è un soffio di cerbottana, è una sistole che spezza il respiro della partita e il battito degli altri ventuno in campo, delle panchine, degli spettatori. È qualcosa di meraviglioso e terribile, come tutti i fenomeni fisici su cui nessuno – nemmeno Nedved, dall’istante in cui la palla si stacca da piede – può realmente esercitare un controllo. Per un ragazzino della mia età è qualcosa di esaltante, nello stesso modo assertivo e profondamente maschile della lotta o dei giochi di guerra.Quando arriva Nedved, a Torino i tifosi juventini stanno rinpiangendo Zidane ceduto al Real Madrid e continueranno a rimpiangerlo per mesi, anche perché Nedved all’inizio sembra un parente lontano di quello della Lazio.Ma proprio come era successo alla Lazio, Nedved si sblocca all’improvviso e non si ferma più. Il primo gol in bianconero lo segna di testa al Perugia a dicembre, ma il primo gol “da Nedved” arriva il giorno dell’Epifania del 2002, contro l’Udinese, con una sassata da posizione angolata che sembra buttar fuori tutta la rabbia accumulata in quei mesi difficili.In pochi mesi il giocatore che non voleva andare alla Juve ne diventa il leader, il simbolo. Nedved è il campione che non molla mai, che cerca la vittoria dal primo all’ultimo minuto a prescindere dalle circostanze, con tutti i mezzi. Sembra nato per incarnare i pregi e i difetti della juventinità e ha ragione Mino Raiola quando dice che “ha fatto come quelli che entrano in una setta e diventano subito il capo”. L’investitura in questo senso arriva il 21 aprile a Piacenza, quando la Juve a due minuti dalla fine della partita è impantanata in un pareggio che renderebbe incolmabile o quasi il vantaggio in classifica dell’Inter.La Juve si gioca il campionato con l’Inter fino all’ultima giornata, e se avete fatto caso alle date vi sarete accorti che stiamo parlando dell’anno del “Cinque Maggio”, e quindi per Nedved del secondo scudetto in carriera vinto quando tutto sembrava perduto, per un imprevedibile regalo della sorte.
Pavel Nedved ha dichiarato in una intervista“Se mi guardo alle spalle, momenti tristi non ne vedo. Forse la cosa peggiore che mi è successa è di non aver giocato la finale di Champions; però la Juventus era in campo. Anche quando penso alla retrocessione non riesco ad essere triste, perché la Juventus c’era e c’è sempre. Quel che resta, alla fine, è la felicità di giocare per la Juventus, Perché noi giocatori passiamo e la Juventus rimane. Per sempre”.
fonti varie
Marcello Spadola
© Copyright personaggincontroluce.blogspot.com. Riproduzione riservata
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