Personaggi dello sport: Valerij Voronin “il calciatore più elegante del Mondiale 1966”.

È uno spettacolo per intenditori, Valerij Voronin, la cui eleganza naturale si abbina ad uno straordinario senso tattico: è ovunque, anche se ventenne gioca da veterano, quasi avesse un radar in testa che gli permette di ricevere le informazioni necessarie per trovarsi ad essere sempre nel posto giusto al momento giusto.
Un giocatore che in Inghilterra viene chiamato Box-to-Box, cioè capace di districare una situazione ingarbugliata in difesa e un attimo dopo capovolgere il fronte di gioco in attacco, con un lancio preciso oppure con una lunga corsa palla al piede.
Tecnicamente non vale Streltsov, nessuno può valere Streltsov: ma è comunque completo nei fondamentali e dotato di un’eleganza innata. Un faro, impossibile da non scorgere per compagni, avversari e spettatori.




Valerij Voronin


“Ricordo bene Voronin” ha ricordato il giornalista Leonid Repin, nel 1999. “In un attimo, con una mossa elusiva, poteva far sparire il pallone dalla vista degli attaccanti avversari. Oppure poteva improvvisamente correre in area di rigore e con la difesa rivale piazzata offrire un intelligente assist per il suo attaccante.
Ma più di tutto, deliziava con il suo gioco a centrocampo dove, prendendo la palla con un aggraziato movimento felino, Voronin la addomesticava, guardava i pezzi muoversi sulla scacchiera ed era sempre abile nel lanciarla con precisione dove serviva, suscitando inevitabili sospiri di ammirazione.”
Sospiri di ammirazione non solo nei tifosi, ma anche e soprattutto nelle tifose: Voronin è infatti amato dal gentil sesso per il suo bell’aspetto e per l’eleganza innata che mostra sia dentro che fuori dal campo.
Oltre ad essere un campione è anche una persona estremamente colta: legge poeti e drammaturghi, frequenta scrittori e attori di cinema e teatro, conosce le lingue straniere, tanto che si occuperà lui stesso di fare da traduttore per i compagni nei rari impegni internazionali che la rigida “Cortina di ferro” concede ai suoi campioni. Logico che la Nazionale ci metta poco a notare questo “cittadino e sportivo modello”.
Il CT Gavriil Kačalin lo aggrega alla squadra che ha appena conquistato il Campionato Europeo del 1960: i campioni non mancano, il Partito guarda con fiducia ai Mondiali del ’62 dove i sovietici, infatti, si presentano con buone credenziali.
Voronin giostra in mezzo al campo, ben coadiuvato dall’ucraino József Szabó, in una squadra che vanta anche talenti come Netto, Chislenko e Ponedelnik, oltre soprattutto a Jashin, “il Ragno Nero”, il miglior portiere che la storia del calcio ricordi.
L’Unione Sovietica in effetti parte benissimo, si impone nel suo girone – composto anche da Uruguay, Colombia e Jugoslavia – ma cade a sorpresa nei quarti di finale contro i padroni di casa del Cile, che trovano due reti con due autentiche magie da fuori area. Al termine del torneo Voronin viene comunque inserito nella “squadra ideale” della manifestazione, unico sovietico di sempre ad aver avuto tale onore. Ormai si parla di una stella del calcio sovietico e mondiale, e non ha nemmeno ventitré anni.
Viene inserito anche nella “squadra ideale” degli Europei del 1964, che i sovietici – guidati stavolta da Konstantin Beskov – perdono solo in finale con la Spagna, mentre la sua Torpedo Mosca prova a vincere ancora una volta il campionato, ma nonostante la sua splendida regia ed il suo dare l’anima il successo non arriva.
I club del Partito sono troppo più forti e ben visti, servirebbe un miracolo: che si materializza nel 1965, quando Eduard Streltsov viene finalmente liberato dal Gulag nel quale è stato rinchiuso per ben sette anni.
Non è più il ragazzo di una volta, è un uomo indebolito dalla fame e dal freddo e senza la grinta e il fisico di quando giovanissimo strabiliava il mondo. Un ragazzo divenuto uomo nel freddo di un gulag siberiano, sopravvissuto soltanto grazie all’ammirazione degli altri detenuti e di alcuni dei suoi carcerieri.
Ma è sempre Streltsov. La Torpedo Mosca torna alla vittoria del campionato, le sue stelle sono osannate: per l’ex-prigioniero dei Gulag le porte della Nazionale rimangono però chiuse, mentre nella compagine che si appresta a disputare i Mondiali del 1966 Valerij Voronin è ormai una delle stelle più conclamate.
Nel frattempo si è sposato, formando con la bellissima moglie una coppia da rotocalco (almeno per quel che si può esserlo nell’Unione Sovietica di quegli anni) ed è finito ancora una volta tra i migliori dieci giocatori europei nella corsa al Pallone d’Oro.I Mondiali sono però un’altra parziale delusione. I sovietici si impongono in un girone che riserva molte sorprese, vedendo passare al secondo posto la sorprendente Corea del Nord, che elimina Italia e Cile, quest’ultimo sconfitto dai sovietici con un secco 2 a 0 che in qualche modo vendica l’eliminazione patita quattro anni prima.
Voronin si sdoppia tra centrocampo e difesa, ben distinguendosi, unico tra i convocati della Torpedo campione dell’URSS: a dire il vero ce ne sarebbe un altro, il portiere georgiano Q’avazashvili, ma con Jasin – che ha già eclissato anche Rudakov – in porta ovviamente non giocherà mai.
Proprio da difensore gioca il quarto di finale che vede l’URSS affrontare l’Ungheria: la sua marcatura su Florian Albert – splendido talento che cercherà invano di restituire grandezza al calcio magiaro – è spietata, Voronin giganteggia (guadagnandosi gli attestati di stima di chi assiste alla gara) e i gol di Chislenko e Porkujan permettono ai sovietici di guadagnare la semifinale.Di fronte si trovano la formidabile Germania Ovest di Helmut Haller e Franz Beckenbauer, e sono proprio questi due a segnare le reti che eliminano i sovietici, che perdono poi anche la finale valida per il terzo posto contro il Portogallo del formidabile Eusebio
È un piazzamento finale, il quarto posto, che rimarrà tuttavia il migliore in assoluto per l’URSS e per le varie nazionali che ne deriveranno dopo il crollo del comunismo.
Valerij Voronin viene premiato con un piatto d’argento dalla giovane Regina Elisabetta come “il calciatore più elegante del Mondiale”. Si dice che sia affascinata da questo bellissimo sovietico, che gli sorrida a lungo, e in effetti lo sguardo profondo del campione e il suo stile impeccabile superano i confini dello sport.
Nell’anno del Mondiale d’Inghilterra il grande regista Marlen Martynovič Chuciev gli offre una parte per il suo “Le piogge di luglio”, ma Voronin rifiuta. Vuole concentrarsi sul calcio, per il cinema ci sarà semmai tempo dopo.Valerij Voronin non ha ancora trent’anni e di certo non lo sa, ma la sua carriera sta per interrompersi: sempre più a suo agio tra club privati e vita mondana, viene allontanato dal ritiro della Nazionale per essere uscito senza permesso, e sulla strada di ritorno verso casa avviene l’episodio che cambierà per sempre la sua vita.
Un attimo di distrazione, forse un colpo di sonno, e il campione perde il controllo della sua auto. La vettura sbanda, quindi senza controllo si schianta contro un mezzo proveniente dalla corsia opposta. L’impatto è tremendo, la parte davanti del veicolo finisce disintegrata. Voronin non tornerà mai più in campo, interrompendo la sua carriera nel 1968 non ancora trentenne e nonostante gli sforzi di compagni e allenatore, che gli vogliono bene e che ogni tanto, mentre si allenano, lo vedono fuori dal campo, appoggiato alla rete, come se osservasse la sua vita passata e ora perduta.
“Come se”, poiché in realtà quasi tutti dicono che gli occhi sembrano mezzo addormentati, persi nel vuoto, come quelli di chi non riesce a dormire veramente, tormentato da demoni personali impossibili da sconfiggere.
fonti varie
Marcello Spadola
© Copyright personaggincontroluce.blogspot.com. Riproduzione riservata

Commenti

Post più popolari