Personaggi dello sport: Gianni Rivera primo "Pallone d'oro italiano.

Personaggidellosport:GianniRivera"PrimoPalloned'oroitaliano" Nato ad Alessandria il 18 Agosto 1943, Gianni Rivera, "Golden Boy" del calcio italiano ha festeggiato pochi giorni fa i suoi 76 anni. Non è stato un mio "eroe" Gianni Rivera neppure quando all'Atzeca segnò il gol del 4-3 della storica vittoria in semifinale contro la Germania ai Mondiali messicani del 1970 che infiammò l'Italia. Nel mio cuore allora c'era posto solo per "Rombo di tuono" Gigi Riva, per l'irriverente e irridente maestro del "dribbling" Enrique Omar Sivori che con le sue "veroniche" faceva impazzire i difensori e per "l'equalizer" inarrivabile gentiluomo delle aree di rigore e di tutto il rettangolo di gioco, il gallese gigante buono "King" John Charles. A Rivera ho sempre riconosciuto, e non poteva che essere così tale ne  era l'evidenza, una intelligenza non comune dentro e fuori del campo e ne ho ammirato l'eleganza e la classe innata con cui ha illuminato le scene calcistiche di tutto il mondo. L'ho ritenuto altresì, nella diatriba imperante allora, più "Golden Boy" che "abatino" come sostenuto invece dal "divin aedo" Gianni Brera sulle pagine del "Guerin Sportivo"..



Rivera primo pallone d'oro italiano







Le biografie ci dicono che al piccolo Gianni piaceva inseguire quella sfera di cuoio, prenderla a calci, giocare con i compagni nel campetto dell'oratorio, nelle vie e sui campi di cemento. I prati erano pochi e destinati dai contadini alla coltura.I ragazzi così, gioco forza, disputavano piccoli tornei su uno spiazzale dell’aeroporto di Alessandria. Giocava, Rivera, senza pensare che quel pallone poteva rappresentare il suo futuro. Figlio di contadini, in quegli anni, la massima aspirazione era quella di diventare ragioniere.Appariva puro, cristallino, per certi versi anche sfrontato.
Quando da ragazzo è chiamato al provino che deciderà il suo percorso calcistico sono proprio i veterani a coglierne immediatamente il valore e a giurare sul suo futuro. La giovanissima età contribuisce a renderlo popolarissimo, i suoi modi garbati





Gianni Rivera e "Paron Nereo Rocco



















Mazzola, Valcareggi e Rivera


e l’eloquio decisamente più forbito rispetto alla media dei suoi colleghi, lo rendono da subito un
personaggio. Il "Golden Boy" piace a tutti, appare come il classico bravo ragazzo adorato dalle mamme e dalle ragazzine. In campo c’è chi lo paragona nientemeno che a Schiaffino, in un rapporto di ideale continuità rossonera tra l’asso sudamericano e il giovane piemontese. Rivera era arrivato al Milan nell’estate del 1960. e nel primo campionato all’ombra della "Madunina" dimostra di avere la tempra per indossare la maglia da titolare con continuità. Quel Milan guidato da Gipo Viani sfiora anche il titolo, ed è curioso pensare che sia la Juventus a precederlo, tenendo conto che nei due scontri diretti aveva vinto sempre il diavolo ed in entrambi proprio Rivera scritto il suo nome nel tabellino dei marcatori. La svolta definitiva si ha nella stagione successiva, quando sulla panchina rossonera arriva il triestino Nereo Rocco. Inizialmente il "Paron" considera il diciassettenne ancora troppo immaturo per militare in una squadra che vuole abitare stabilmente il vertice della classifica. Ma una volta entrato nel blocco degli undici titolari, Rivera non ne uscirà più. L’arrivo del nuovo tecnico coincide con la conquista dell’ottavo scudetto rossonero, il primo per Gianni, che segna dieci reti, risultando fondamentale nella cavalcata vincente.Rocco considera Gianni Rivera uomo imprescindibile. “Si, non corre tanto, ma se io voglio avere il gioco, la fantasia, dal primo minuto al novantesimo l’arte di capovolgere una situazione, tutto questo me lo può dare solo Rivera con i suoi lampi. Non vorrei esagerare, perchè in fondo è soltanto football, ma Rivera in tutto questo è un genio”. Per Rocco, Rivera è come un terzo figlio ed i rapporti sono improntati sopratutto sotto il profilo umano. Sotto l’aspetto tecnico infatti non è mai messo in discussione, la fiducia è totale.Nel 1969, con 83 voti di consenso, Rivera vince il "Pallone d’Oro", primo giocatore italiano ad aggiudicarsi l’ambito trofeo di miglior giocatore del continente.Sui giurati, ovviamente, incide moltissimo il trionfo del Milan in Coppa dei Campioni, un 4-1 inappellabile sull’Ajax con Rivera nei panni di assist-man di eccezione. E a risposta di chi dubitava sul suo temperamento c’è la drammatica finale di Coppa Intercontinentale, quando il Milan, forte di un 3-0 guadagnato a San Siro, si reca in Argentina ad affrontare l’Estudiantes. Il clima è caldissimo. Già a Milano i sudamericani hanno promesso un ritorno da battaglia ma la classe dei rossoneri ha il sopravvento, nonostante la sconfitta per 2-1 con rete iniziale proprio di Rivera in contropiede.La carriera di Rivera è piena di trofei: 3 Scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe, 1 Coppa Intercontinentale, tutti conquistati con il Milan. Memorabile l’incontro disputato a Wembley il 22 maggio del 1963 che consentì al Milan di vincere la prima Coppa Campioni conquistata da una squadra italiana. I rossoneri, contro il Benfica di Eusebio, si imposero per 2 a 1, dopo essere stati in svantaggio per 1 a 0. Gianni Rivera, padrone del centrocampo con il brasiliano Dino Sani, fu uno degli artefici principali del successo assieme a Josè Altafini autore delle due reti del Milan.
L'anno successivo la conquista del "Pallone d'oro" ci sono i Mondiali di Messico '70 e chi non ricorda quei '6 minuti che sconvolsero l'Italia?




Gianni Rivera il Golden boy




Gianni Rivera e Sandro Mazzola hanno diviso l'Italia come Coppi e Bartali



Un dubbio da sempre assale chi ama il calcio: perchè i 6 minuti di Rivera nella finale di Messico ’70? Una vendetta, una congiura, o una semplice dimenticanza? Nella semifinale dei mondiali 1970 contro la Germania era stato il protagonista del minuto più eccitante della partita più eccitante di tutti i mondiali azzurri. Era vicino al palo, avrebbe dovuto impattare il colpo di testa di Müller. “Credevo che andasse fuori, cercai di deviarla con l’anca. Non mi venne neanche in mente di deviarla con il braccio”. Fu 3-3. Ma poco più di sessanta secondi dopo, il riscatto e l’Italia in finale, quando sul cross di Boninsegna scelse di prendere in contropiede Maier. “Ebbi la visione del portiere che si spostava e si tuffava. Anche se poi non si era ancora spostato e stava per prenderla! Più che una visione è stata una premonizione”. E fu 4-3. Quella finale Rivera non la giocò, gli concessero solo sei minuti all’Azteca, un affronto al talento e al buon senso». Alla vigilia della finale, sembra che una delegazione maggioritaria della squadra avesse chiesto a Valcareggi l’esclusione di Rivera; non è vero invece, come qualcuno ipotizzerà, che Mazzola avesse imposto a Valcareggi un aut aut. In campo vanno i soliti undici, poi nell’intervallo Valcareggi, esattamente come aveva preannunciato Mandelli, rinuncia alla “staffetta”, rincuorato dal pari. E quando Bertini dovrà uscire per infortunio, preferirà Juliano a Rivera.cui riserverà invece la beffa dei sei minuti finali, l’autentico “cuore” del giallo mondiale 1970.
Come spiegarli? «Ho rinviato di minuto in minuto l’inserimento di Rivera» spiegherà il Commissario Tecnicot «perché avevo non solo Bertini con un leggero stiramento inguinale, ma anche Cera che stava male. Se avessi anticipato il secondo cambio, avrei rischiato di restare in dieci». Quanto al momento scelto per coinvolgere Rivera nella sconfitta, dirà di non essersi accorto che mancasse così poco alla fine. Giustificazioni poco credibili, di fronte all’evidenza di una decisione già presa, per “punire” Rivera. La ribellione del Gianni nazionale non era stata digerita, la volontà di escluderlo da un eventuale successo che il pari a metà tempo autorizzava a considerare possibile giocò un brutto scherzo, innanzitutto alla credibilità dello staff azzurro.
Pelé non ha mai smesso di ringraziare sentitamente per l’assenza di uno degli uomini di maggior classe, mentre in Italia succedeva il finimondo. Da giorni le pagine dei giornali del periodo riportavano, e se vogliamo, contribuivano esse stesse ad alimentare la polemica accesissima tra “riveriani” e “mazzoliani”. Quando l’aereo degli azzurri sbarcò trionfalmente a Fiumicino, migliaia di tifosi travolsero il servizio d’ordine invadendo la pista. «W Rivera, Mandelli in galera» era uno dei più pittoreschi slogan. L’assalto assunse aspetti inquietanti, volavano sassi, Valcareggi fu costretto a fuggire protetto dalla polizia, mentre Mandelli, l’altro obiettivo della violenta contestazione, lascerà subito ogni incarico sportivo, per proseguire nella carriera come alto dirigente dell’associazionismo imprenditoriale. Un secondo posto ai Mondiali «oltre ogni più ottimistica previsione», come cerca invano all’arrivo di ricordare lo stesso Mandelli, fischiato e contestato più di una eliminazione al primo turno. Tutto per i sei minuti meno gloriosi della storia del calcio italiano.
fonti varie
Marcello Spadola

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