Personaggi dello sport: Pietro Mennea
Oggi si celebra il Mennea Day. A sei anni dalla sua scomparsa, l’atletica torna a celebrare uno dei campioni più amati: Pietro Mennea, la Freccia del Sud, l’oro olimpico di Mosca 1980. E lo fa nel quarantesimo anniversario del sensazionale record del mondo dei 200 metri - quel 19"72 corso il 12 settembre 1979 alle Universiadi di Città del Messico. Fu uno dei primati più longevi dell'atletica - durò fino ad Atlanta '96, ma resta un'impresa senza tempo, come Italia-Germania 4-3, Clay-Foreman o l'ora di Moser. Il risultato è da sempre scolpito nella memoria di ogni sportivo che in quel cronometro hanno incarnato la rivincita di un popolo, di una nazione, del suo Sud. Mi unisco anch'io ai tanti media sportivi e non che oggi hanno dedicato ampio spazio al ricordo di un atleta e uomo straordinari
Quando vidi alcuni anni fa la fiction "La freccia del Sud" ispirata alla vita del campione di Barletta i dubbi che avevo circa la sua buona riuscita svanirono d'incanto. Quando si parla di sport, il rischio è anche quello di viaggiare un po' troppo con la fantasia, e non rispecchiare per niente la realtà dello sport di cui si vuole parlare. Questa invece l'ho trovata veramente ben fatta e rende degnamente omaggio a uno dei più grandi campioni della storia del nostro sport. Molto emozionante. E di grande insegnamento per tutti i giovanissimi che si stanno avvicinando allo sport agonistico, qualunque esso sia. Pietro Mennea ha parlato di se stesso, dei suoi principi e delle sue più intime convinzioni nelle molte interviste rilasciate e qui voglio riportare alcune frasi che più e meglio di altre aiutano a conoscere lo spessore dell'uomo e il campione.:
"Quello della Silicon Valley, quello che ha detto che bisogna essere affamati e folli, mi fa ridere. Noi non avevamo niente e volevamo tutto. Eravamo cinque figli, quattro maschi e una femmina. Mio padre Salvatore era sarto, mia madre Vincenzina lo aiutava, a me toccavano i lavori più umili: fare i piatti, pulire la cucina, lavare i vetri. Avevo tre anni quando mamma mi mandò a comprare un bottiglione di varechina che mi si aprì nel tragitto, porto ancora i segni sulle mani. Io non credo nella predestinazione. I risultati si ottengono solo con molto lavoro. Nella mia carriera sportiva mi sono allenato 5-6 ore al giorno, tutti i giorni, per 365 giorni l'anno, tra gare e allenamenti, per quasi venti anni".La gente mi vuole bene, me l'ha sempre voluto, forse perché il mio modo di interpretare l'atletica è assolutamente puro. Lo sport è bello perché non è sufficiente l'abito. Chiunque può provarci. Lo sport insegna che per la vittoria non basta il talento, ci vuole il lavoro e il sacrificio quotidiano. Nello sport come nella vita"
"Io non sapevo niente della sua storia sportiva, l’ho conosciuto quando aveva già smesso di gareggiare. Ma a lui piaceva raccontare dell’atletica, attraverso di me parlava anche con se stesso. Il ricordo, però, non era mai fatto di nostalgia o di tristezza"racconta la moglie Manuela che continua"Tommie Smith si mischia con i suoi primi compagni di atletica. Da una parte c’è il poster sul podio, che somiglia a un giuramento. Dall’altra, una compagnia simile a una filastrocca da tv dei ragazzi. "Pallamolla, Gambatesa, Acquafredda, Mennea. Pietro mi raccontava sempre che quando lo speaker annunciava la formazione dell’Avis Barletta tutti morivano dal ridere per quei quattro cognomi. Non perse di vista i suoi compagni, li ha rivisti anche negli ultimi anni". Daniele Menarini condirettore di "Correre"confida in una intervista "Io credo che Pietro fosse unico. Credo che le sue gare fossero sempre a nove corsie e l'avversario peggiore di tutti fosse sé stesso. Per una fragilità che gli derivava dalle origini umili, un'insicurezza che lo portava a sottovalutarsi o comunque a non avere coscienza di sé, pienamente. Si dice "nello sport non bisogna pensare". teoria applicabile a molti vincenti. Lui è riuscito a vincere pur portandosi in pista un cervello che pensava fin troppo".Nato da una famiglia modesta, la leggenda vuole che da piccolo Mennea si fosse guadagnato la fama in città sfidando in corsa i “macchinoni” dei ragazzi più ricchi: non c’erano Alfa Romeo o Ferrari che tenessero, Pietro in velocità le bruciava tutte. E’ l’inizio di una delle storie più vincenti dello sport italiano, con una collezione di medaglie che dai Giochi del Mediterraneo arrivano fino a Europei, Mondiali e Olimpiadi, dove fu il primo a disputare quattro finali consecutive. Praticamente imbattuto dai Giochi di Montreal 1976 a quelli di Mosca 1980, di ogni Olimpiade ricordava con piacere il contesto storico e geopolitico che le accompagnava. Il suo primato, quello dei 200 metri piani, è diventato record a sua volta rimanendo imbattuto per ben 17 anni a livello mondiale e resistendo ancora oggi come record europeo. A fianco dello sport gli studi e l’impegno politico. Una prima laurea in scienze politiche e poi in giurisprudenza, scienze dell’educazione motoria e lettere, appesi gli scarpini al chiodo Mennea è stato avvocato, docente universitario e commercialista, scrittore con oltre venti libri all’attivo, e ha avuto anche diverse esperienze politiche.
In una intervista ribadì la sua contrarietà alla candidatura dell’Italia a ospitare le Olimpiadi nel 2020, spiegando con un filo di amarezza che “Nella storia recente le Olimpiadi hanno portato a chi le ha organizzate solo recessione e svalutazioni, vedi l’esempio della Grecia che è fallita. Le Olimpiadi oggi non portano valore, sono solo uno spettacolo che dura 15 giorni, un business economico”. Daniele Menarini ci svela anche i particolari dell' incontro con Bolt. "Erano buoni conoscenti e si vedevano quando il giamaicano veniva a Roma. Ricordo un evento in una villa romana, realizzato da uno sponsor tecnico. I fotografi li avvicinarono per scattare le foto tra due leggendari come loro. Arrivò l'addetto stampa dello sponsor e si rivolse a Pietro: signore, scusi, se si toglie, devono fare una foto a Bolt? Lo aveva scambiato per un tifoso che faceva un selfie. Mennea non fece una piega... però, immaginatevi come reagirono tutti gli altri".
Assai particolare anche l'incontro con Mohammed Alì che lo vede e gli dice: sei tu Mennea? ah, ma non sei nero. E lui gli risponde, frase famosissima: sì, sono nero dentro". Bello il parallelo con Tommie Smith, ma lui, l'eroe di Messico '68, lo incontrò veramente. E ancora quando Pertini disse: facciamolo commendatore. Presidente, ma Mennea non ha ancora trent'anni... E allora cambiamo le regole, disse Pertini
“Nonostante la critica lo considerasse poco elegante, nel ’79 realizzò il record mondiale che rimase imbattuto per 17 anni – Era talmente poco considerato che gli sbagliarono il nome e persino la nazionalità. Quando realizzò il record, guardando il tempo, 19’’72, penso che avessero sbagliato anche l’anno. Si rese conto solo dopo, quando cominciarono a fargli i complimenti, che quello era il suo tempo.Morì,il primo giorno di Primavera a Roma all’età di 60 anni ed in una intervista realizzata non molto tempo prima disse che avrebbe rifatto tutto,tutte le ore di allenamento, forse ancora di più, perché la fatica non è mai sprecata, soffri ma sogni”.
fonti varie
Marcello Spadola
Pietro Mennea oro olimpico |
Pietro Mennea vince le Olimpiadi di Mosca |
"Quello della Silicon Valley, quello che ha detto che bisogna essere affamati e folli, mi fa ridere. Noi non avevamo niente e volevamo tutto. Eravamo cinque figli, quattro maschi e una femmina. Mio padre Salvatore era sarto, mia madre Vincenzina lo aiutava, a me toccavano i lavori più umili: fare i piatti, pulire la cucina, lavare i vetri. Avevo tre anni quando mamma mi mandò a comprare un bottiglione di varechina che mi si aprì nel tragitto, porto ancora i segni sulle mani. Io non credo nella predestinazione. I risultati si ottengono solo con molto lavoro. Nella mia carriera sportiva mi sono allenato 5-6 ore al giorno, tutti i giorni, per 365 giorni l'anno, tra gare e allenamenti, per quasi venti anni".La gente mi vuole bene, me l'ha sempre voluto, forse perché il mio modo di interpretare l'atletica è assolutamente puro. Lo sport è bello perché non è sufficiente l'abito. Chiunque può provarci. Lo sport insegna che per la vittoria non basta il talento, ci vuole il lavoro e il sacrificio quotidiano. Nello sport come nella vita"
In una intervista ribadì la sua contrarietà alla candidatura dell’Italia a ospitare le Olimpiadi nel 2020, spiegando con un filo di amarezza che “Nella storia recente le Olimpiadi hanno portato a chi le ha organizzate solo recessione e svalutazioni, vedi l’esempio della Grecia che è fallita. Le Olimpiadi oggi non portano valore, sono solo uno spettacolo che dura 15 giorni, un business economico”. Daniele Menarini ci svela anche i particolari dell' incontro con Bolt. "Erano buoni conoscenti e si vedevano quando il giamaicano veniva a Roma. Ricordo un evento in una villa romana, realizzato da uno sponsor tecnico. I fotografi li avvicinarono per scattare le foto tra due leggendari come loro. Arrivò l'addetto stampa dello sponsor e si rivolse a Pietro: signore, scusi, se si toglie, devono fare una foto a Bolt? Lo aveva scambiato per un tifoso che faceva un selfie. Mennea non fece una piega... però, immaginatevi come reagirono tutti gli altri".
Assai particolare anche l'incontro con Mohammed Alì che lo vede e gli dice: sei tu Mennea? ah, ma non sei nero. E lui gli risponde, frase famosissima: sì, sono nero dentro". Bello il parallelo con Tommie Smith, ma lui, l'eroe di Messico '68, lo incontrò veramente. E ancora quando Pertini disse: facciamolo commendatore. Presidente, ma Mennea non ha ancora trent'anni... E allora cambiamo le regole, disse Pertini
“Nonostante la critica lo considerasse poco elegante, nel ’79 realizzò il record mondiale che rimase imbattuto per 17 anni – Era talmente poco considerato che gli sbagliarono il nome e persino la nazionalità. Quando realizzò il record, guardando il tempo, 19’’72, penso che avessero sbagliato anche l’anno. Si rese conto solo dopo, quando cominciarono a fargli i complimenti, che quello era il suo tempo.Morì,il primo giorno di Primavera a Roma all’età di 60 anni ed in una intervista realizzata non molto tempo prima disse che avrebbe rifatto tutto,tutte le ore di allenamento, forse ancora di più, perché la fatica non è mai sprecata, soffri ma sogni”.
fonti varie
Marcello Spadola
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