Personaggi in controluce: Carlo Airoldi e Doriando Pietri

Personaggiincontroluce:CarloAiroldieDoriandoPietri La storica foto di Doriando Pietri con le sue gambe barcollanti sorretto dai giudici di gara che gli valse la squalifica e la perdita della medaglia d'oro alle Olimpiadi di Londra del 1908 ma che lo hanno consegnato alla storia dell'Atletica leggera è l'icona della durezza della disciplina che più di altre contribuisce a rendere fascinose le Olimpiadi.
 “Io non sono il vincitore della maratona. Invece, come dicono gli inglesi, io sono colui che ha vinto ed ha perso la vittoria” (Dorando Pietri) 
La coppa d'argento donata a Pietri dalla regina Alessandra  quasi a compensarlo della mancata medaglia olimpica,è oggi custodita a cura della società La Patria in una cassetta di sicurezza della Unicredit Banca a Modena. Sul piedistallo reca inciso questa  dedica
.« To Pietri Dorando – In remembrance of the Marathon pace from Windsor to the Stadium – July. 24. 1908 – Queen Alexandra. »

Doriando Pietri viene aiutato dai giudici dopo la caduta

Doriando Pietri cade a pochi metri dal traguard



Quella di Dorando Pietri eroica e drammatica allo stesso tempo mi consente di introdurne un'altra antecedente altrettanto straordinaria: la storia di Carlo Airoldi anch'egli eroe vincente senza medaglia. Nato da una famiglia contadina nel 1869 alla Cascina Broggio, a Origgio in provincia di Varese, la sua è sicuramente una storia che andrebbe raccontata o almeno menzionata nei libri di scuola. E' una storia "a prescindere" di cui sono venuto a conoscenza soltanto questa mattina, grazie ad una trasmissione della nostra cara, vecchia, ma insostituibile Radio.. La si potrebbe anche pensare frutto dell' immaginazione di un novello "Giulio Verne " col titolo "70 chilometri al giorno da Milano ad Atene". Potrebbe essere  lo "spot" di un bene immateriale quale la "forza di volontà" che mostra un uomo che pur di coltivare le proprie passioni affronta senza timori avversità e ostacoli di ogni tipo o anche , con altrettanta validità lo "spot" che evidenzia l'importanza della forza dei sogni che consente all'uomo di battersi per quello che si ama.




 6 aprile 1896, allo stadio Panathinaikos di Atene, 


Carlo Airoldi


La Polisportiva di Origgio continua "Nel solco di Carlo Airoldi"


Carlo Airoldi


Beh, questa è la storia di Carlo Airoldi, un eroe vincente, senza medaglia. La sua storia non è nota perché, come sappiamo, chi non vince viene presto dimenticato. Ma, in questo caso particolare, vincere o perdere non ha inciso assolutamente sull’impresa che Carlo ha portato a termine.  Airoldi tentò di partecipare alla prima Olimpiade di Atene nel 1896, con ottime prospettive di vittoria.
Tuttavia aveva bisogno di denaro per arrivare nella capitale greca. I soldi vennero cercati presso il direttore del giornale milanese La Bicicletta, uno dei più noti dell'epoca, cui Airoldi propose di partecipare economicamente al viaggio, che si sarebbe svolto a piedi attraverso l'Austria, l'Impero Ottomano e la Grecia. Un viaggio avventuroso che avrebbe obbligato l'Airoldi a percorrere settanta chilometri al giorno per trovarsi in tempo ad Atene. Il giornale avrebbe documentato tutte le tappe del viaggio e avrebbe fornito il necessario supporto logistico.
Il giornale milanese accettò e il viaggio ebbe inizio il giorno 28 febbraio alle ore 16:00; l'Airoldi prima di partire fece una corsa di riscaldamento di 5 km e venne visitato dal dottor Favari che lo trovò in «buone condizioni di polso e di respirazione».
Le tappe da Milano a Spalato, passando per Trieste e Fiume, non presentarono particolari problemi, pioggia e strade dissestate e coperte di fango a parte.
Airoldi era intenzionato a dirigersi lungo le coste dalmate per passare da Cattaro e poi da Corfù. A Spalato fece amicizia con un veneto, che venuto a conoscenza che Airoldi fosse un corridore, gli propose di sfidare in una corsa il campione di Spalato. Vinse la sfida ma venne aggredito dagli scommettitori slavi, furiosi per la sconfitta.
Dopo queste vicende Airoldi riprese il viaggio. Tuttavia, prima di giungere a Ragusa, cadde e si ferì una mano, dopo essere stato costretto a trascorrere due notti all'aperto per non aver trovato ospitalità. Gli fu sconsigliato di attraversare l'Albania a piedi per giungere a Corfù perché c'era il rischio di incontrare dei briganti (oltre che per le pessime condizioni delle strade albanesi), per cui si imbarcò su una nave austriaca che lo fece sbarcare a Patrasso da dove raggiunse Atene a piedi, seguendo i binari della ferrovia in quanto non esisteva altra strada. Come se non bastasse, presso Eleusi l'Airoldi sbagliò pure strada e fece 14 km inutilmente; ormai stremato, l'Airoldi decise di pernottare a Eleusi. Il giorno successivo (era il 31 marzo 1896) l'Airoldi percorse gli ultimi 22 km e arrivò finalmente a Atene. 
Dopo questo viaggio avventuroso di ventotto giorni, Airoldi, tuttavia, non poté partecipare alla maratona. La vicenda fu paradossale: recatosi a Palazzo Reale per iscriversi ai Giochi, venne ricevuto dal principe Costantino, presidente del Comitato Olimpico. Qui venne alla luce il premio in denaro ricevuto al termine della gara Milano-Barcellona, ed Airoldi - in base a ciò - venne considerato un professionista e quindi privo dei requisiti per essere accettato come atleta olimpico [ricordiamo che nello statuto originario dei Giochi Olimpici, inventati dagli "aristocratici", era escluso il professionismo come travisamento dello sport, mentre veniva richiesto il requisito del dilettantismo puro, principio che del resto si mantiene tuttora.
A niente servirono i telegrammi giunti dall'Italia da parte di associazioni e comitati sportivi che tentarono di convincere il CIO che in Italia non esistevano corridori di professione. La risposta fu tassativa: Airoldi non avrebbe potuto partecipare! E già allora, non mancarono dubbi e sospetti sul reale motivo che sostanziava la volontà degli organizzatori di escludere un atleta così forte da una gara che i Greci tenevano molto ad aggiudicarsi per motivi di prestigio nazionale.
Nonostante non fosse iscritto alla maratona, Carlo Airoldi cercò di correrla lo stesso come non iscritto [fuori gara] nel tentativo di dimostrare di essere il migliore; tuttavia venne fermato da un giudice di gara prima del traguardo e passò una notte in cella. Lovati, corrispondente de La Bicicletta, telegrafò da Atene la sera del 10 aprile. Ecco il testo del suo messaggio: «La corsa Maratona-Atene, che costituiva il classico avvenimento dei giochi olimpici, ebbe luogo oggi. Vi parteciparono dieci concorrenti fra i quali però nessun italiano, avendo il Comitato mantenuto l'esclusione del nostro Carlo Airoldi. Giunse primo il corridore greco Luis (sic), che coprì i 42 chilometri nel tempo davvero meraviglioso di ore 2,50. L'arrivo del corridore allo Stadio fu accolto dal maggior entusiasmo del popolo greco, che portò in trionfo il vincitore Non si sa ancora se Luis accetterà la sfida lanciatagli dall'Airoldi» (La Bicicletta - anno III - n. 32 (244) - pag. 1 - sabato 11 aprile 1896).  Airoldi non accettò mai la decisione, ritenendola ingiusta ed arbitraria. Scrisse su La Bicicletta: «Fino questa mattina ebbi sempre speranza di correre, ma pur troppo non mi venne nessun avviso e dovetti assistere alla gara di Maratona, per la quale è un mese che mi affaticavo nelle certezza di prendervi parte. Fino all'arrivo mi mantenni tranquillo e calmo, ma quando arrivò il primo e si sentì il colpo di cannone, allorché la bandiera greca s'innalzò, non mi sentii più padrone di me. [...] Vedere arrivare il primo in mezzo a tanta festa ed io non poter correre per delle ragioni assurde fu il più grande dolore della mia vita. L'unica ragione, a quanto parve a molti, è che era desiderio di tutti che il primo fosse un greco e per questo basandosi sul regolamento venni escluso, perché io presi del denaro a Barcellona. Dunque non potevo darmi pace. Il premio d'altra parte era rispettabile: una coppa, una corona e 25.000 lire. Per un giovane che nulla possiede come me, all'infuori del coraggio e che ha quasi la certezza di arrivare primo è un bel dispiacere. Al Comitato feci valere le mie ragioni, dicendo che in Italia lo sport pedestre non è sviluppato abbastanza per poterlo fare di mestiere, e che il denaro che presi a Barcellona fu una regalia del Municipio, come si è fatto per il vincitore della Maratona, ma tutto fu inutile. [...] Dopo tutto mi consolo perché a piedi vidi l'Austria, l'Ungheria, la Croazia, l'Erzegovina, la Dalmazia e la Grecia, la bella Grecia che lasciò in me un ricordo indelebile. Mi consolo pensando agli allori riportati in Francia e Spagna, ma se per quel viaggio partii in giovedì per questo partii in venerdì e in Venere ed in Marte né si sposa né si parte. Ora però tutto è finito e fra poco sarò a Milano». (Carlo Airoldi, La Bicicletta - anno III - n. 35 (247) - pag. 2 - sabato 18 aprile 1896) Amareggiato per l'esclusione, l'Airoldi lanciò una sfida al vincitore della maratona che non fu mai raccolta. In seguito, dopo una breve permanenza a Milano, si spostò in Sud America a cercare fortuna. Qui,stando ad alcune fonti (come ad esempio il libro Storia dell’Atletica Italiana Maschile di Marco Martini), Airoldi si esibì, mentre era a Rio de Janeiro, in una prova di forza che consisteva nel trasportare un sacco del peso di 450 kg per 100 m.
Pare che a Porto Alegre rischiò di essere linciato dal pubblico per aver perso una sfida contro un cavallo. Rientrò in Italia nel 1902 e rimase nel mondo dello sport come organizzatore di gare e poi come dirigente di società sportive, l'ultima delle quali fu il Club ciclistico La Veloce di Legnano. 
Airoldi si sposò ed ebbe sei figli; morì di diabete a Milano il 18 giugno 1929. 
fonti varie
Marcello Spadola

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