Personaggi dello sport: Pietro Anastasi
Pietro Anastasi aveva cuore e testa, era uno di quelli che ci provava, sempre e comunque, centravanti rapidissimo, tutto nervi e scatto ferino, fiuto e istinto, furbo, riflessi da gatto, forte di testa, anche se era alto poco più di uno e settanta, gol bellissimi e acrobatici, rasoiate secche, una scheggia nera che correva a testa bassa" Il direttore sportivo del Varese, che era a Catania per Catania-Varese di serie B, doveva tornare a Milano, poi lasciò il suo posto in aereo a una donna incinta, tornò in albergo e un cameriere gli disse: dottore, domani c'è Massiminiana-Paternò, ci gioca un ragazzino che è un fenomeno, vale la pena che lei vada a vederlo. Era la Pasqua del 1966".
Anastasi con Boniperti saluta Del Piero
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Roberto Bettega e Pietro Anastasi punte di diamante della Juventus |
La Massiminiana era la squadra di Massimino, poi presidente del Catania. Anastasi guadagnava 20mila lire al mese. "Mi pagavano anche i pasti la sera in trattoria". "Giocavo all'oratorio e lavoravo: aiuto idraulico, ciabattino, ero un asso a ricucire le suole delle scarpe, e poi facevo le consegne per una macelleria" Saltavo la scuola per andare a vedere il Catania allenarsi. "Il mio idolo era Morelli".
Mi chiamano U Turcu per via della carnagione scura. "Da ragazzino giocavo dalla mattina alla sera sotto il sole". Nell'estate del '68 dovevo andare all'Inter, che aveva un'opzione su di me. Nonostante l'affare non fosse stato ancora concluso, i nerazzurri mi vollero in squadra subito per una amichevole contro la Roma. Con il permesso del Varese, giocai e alla fine del primo tempo avevo già realizzato due gol. Tornato negli spogliatoi per l'intervallo, un fotografo che conoscevo mi disse: "Pietro, guarda che sei un giocatore della Juventus".. "L'avvocato Agnelli mi voleva da mesi, da quando mi aveva visto segnare una tripletta contro la Juve. Quando seppe che ero a un passo dall'Inter chiamò il presidente del Varese, Borghi, imprenditore nel settore degli elettrodomestici, e chiuse la trattativa, aggiungendo ai 660 milioni dell'Inter una fornitura di motorini per frigoriferi". Era il 1968, un anno magico per il calcio italiano. In Italia si disputa il Campionato d’Europa e, per la Nazionale è l’occasione per tornare fra le grandi potenze del calcio. La sera di sabato 8 giugno, allo stadio Olimpico, l’Italia è in finale contro la Jugoslavia. Anastasi esordisce in azzurro, ma non si distingue in una squadra che non soddisfa. Il pareggio 1-1 è un premio immeritato per i nostri colori ma due giorni più tardi, nella finale bis, c’è una prova d’orgoglio degli italiani. È il trionfo: goal di Riva e, bellissima, in mezza rovesciata, la replica di Pietruzzo. Alla Juve fece fortuna e fu idolatrato dalla folla: era il centravanti che nelle iperboli tifose si vide etichettare come Superpietro, Pelé Bianco o cose simili. La sua figura s’installò in paradossali “ex voto” sportivi e fu ripetuta per centinaia di pose fotografiche in alloggi torinesi, in case siciliane, dietro il letto, sulla porta della cucina, alla sommità di cassettoni e credenze.
Mi chiamano U Turcu per via della carnagione scura. "Da ragazzino giocavo dalla mattina alla sera sotto il sole". Nell'estate del '68 dovevo andare all'Inter, che aveva un'opzione su di me. Nonostante l'affare non fosse stato ancora concluso, i nerazzurri mi vollero in squadra subito per una amichevole contro la Roma. Con il permesso del Varese, giocai e alla fine del primo tempo avevo già realizzato due gol. Tornato negli spogliatoi per l'intervallo, un fotografo che conoscevo mi disse: "Pietro, guarda che sei un giocatore della Juventus".. "L'avvocato Agnelli mi voleva da mesi, da quando mi aveva visto segnare una tripletta contro la Juve. Quando seppe che ero a un passo dall'Inter chiamò il presidente del Varese, Borghi, imprenditore nel settore degli elettrodomestici, e chiuse la trattativa, aggiungendo ai 660 milioni dell'Inter una fornitura di motorini per frigoriferi". Era il 1968, un anno magico per il calcio italiano. In Italia si disputa il Campionato d’Europa e, per la Nazionale è l’occasione per tornare fra le grandi potenze del calcio. La sera di sabato 8 giugno, allo stadio Olimpico, l’Italia è in finale contro la Jugoslavia. Anastasi esordisce in azzurro, ma non si distingue in una squadra che non soddisfa. Il pareggio 1-1 è un premio immeritato per i nostri colori ma due giorni più tardi, nella finale bis, c’è una prova d’orgoglio degli italiani. È il trionfo: goal di Riva e, bellissima, in mezza rovesciata, la replica di Pietruzzo. Alla Juve fece fortuna e fu idolatrato dalla folla: era il centravanti che nelle iperboli tifose si vide etichettare come Superpietro, Pelé Bianco o cose simili. La sua figura s’installò in paradossali “ex voto” sportivi e fu ripetuta per centinaia di pose fotografiche in alloggi torinesi, in case siciliane, dietro il letto, sulla porta della cucina, alla sommità di cassettoni e credenze.
"Pietruzzu" come lo chiamava Vladimiro Caminiti in azzurro con Gigi Riva |
Allo stadio Comunale, in maglia bianconera, cominciò non la vita, ma la leggenda popolare di Pietruzzo. Robusto, seppur piccolo, veloce e sgambettante, carico di fantasie da cortile, un acrobata istintivo: questo il giocatore. Come ragazzo era simpatico, ingenuo, modesto, con qualche improvvisa punta d’orgoglio. Quando nel 1968 arrivò alla Juventus, aveva solo vent’anni e tanto entusiasmo. Lo gelarono subito, anche se si era in piena estate: il presidente Catella, piemontese di stampo antico, lo strigliò subito per aver osato presentarsi al raduno senza cravatta. Così lui, che era arrivato al primo appuntamento con la “Vecchia Signora” timido e sorridente, se ne andò con gli occhi rossi. Né quelle lacrime furono le ultime. A settembre, la lezione tattica di Heriberto Herrera gli gonfiò di nuovo gli occhi di pianto. Per fortuna, quando era sul campo tutto filava a gonfie vele: ventotto partite, quattordici goal, tre in più che la stagione precedente nel Varese.
Nemmeno la gloria (con tanto di maglia azzurra della Nazionale e un titolo di Campione d’Europa) è stata un passaporto sufficiente per l’amicizia: si sentiva scartato, isolato e così si chiudeva sempre più in se stesso. La sua ombrosità, logica conseguenza della difficoltà di comunicazione, era scambiata per selvatichezza e qualcuno ci ricamava sopra, sino all’insulto.
Molto intuito, nel gioco di questo calciatore, molto genio e, purtroppo, anche molta sregolatezza: sarà il suo limite: «Le mie qualità migliori erano lo scatto, la velocità e l’altruismo. E seppur scendessi in campo, anche in Nazionale, con la maglia numero nove, spesso mi posizionavo sulla sinistra, per effettuare dei cross a favore del compagno di reparto. Insomma, ero un uomo d’area che sapeva anche manovrare».Le cifre: 302 partite e 129 goal, il 1971-72 è l’anno del suo primo scudetto, subito bissato l’anno seguente.
Il terzo tricolore lo conquista nel 1974-75, sempre in bianconero, naturalmente. Lascia la Juventus per l’Inter, nel 1976-77, poi l’Ascoli e l’addio ai campi di calcio con un bilancio brillante.
Anni dopo disse: «Andai via, perché ebbi un litigio con Parola, dopo una trasferta in Olanda, ma con la società sono sempre rimasto in ottimi rapporti. Alla Juventus è dove mi sono trovato meglio e rimarrò sempre un tifoso juventino».
da fonti varie
Marcello Spadola
Nemmeno la gloria (con tanto di maglia azzurra della Nazionale e un titolo di Campione d’Europa) è stata un passaporto sufficiente per l’amicizia: si sentiva scartato, isolato e così si chiudeva sempre più in se stesso. La sua ombrosità, logica conseguenza della difficoltà di comunicazione, era scambiata per selvatichezza e qualcuno ci ricamava sopra, sino all’insulto.
Molto intuito, nel gioco di questo calciatore, molto genio e, purtroppo, anche molta sregolatezza: sarà il suo limite: «Le mie qualità migliori erano lo scatto, la velocità e l’altruismo. E seppur scendessi in campo, anche in Nazionale, con la maglia numero nove, spesso mi posizionavo sulla sinistra, per effettuare dei cross a favore del compagno di reparto. Insomma, ero un uomo d’area che sapeva anche manovrare».Le cifre: 302 partite e 129 goal, il 1971-72 è l’anno del suo primo scudetto, subito bissato l’anno seguente.
Il terzo tricolore lo conquista nel 1974-75, sempre in bianconero, naturalmente. Lascia la Juventus per l’Inter, nel 1976-77, poi l’Ascoli e l’addio ai campi di calcio con un bilancio brillante.
Anni dopo disse: «Andai via, perché ebbi un litigio con Parola, dopo una trasferta in Olanda, ma con la società sono sempre rimasto in ottimi rapporti. Alla Juventus è dove mi sono trovato meglio e rimarrò sempre un tifoso juventino».
da fonti varie
Marcello Spadola
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